Spunti sui compiti a casa
- retedefacto
- 2 giorni fa
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I compiti a casa sono uno strumento che serve per facilitare l'apprendimento scolastico.
Non sono una necessità (esistono esperienze ben funzionanti di scuole senza compiti), un obbligo (vivere i compiti come una costrizione li rende nemici dell'apprendimento), uno strumento di “punizione” e nemmeno un modo per compensare quello che i tempi stretti della scuola non riescono ad affrontare.
I compiti sono un'occasione per tenere in esercizio alcune abilità (nel leggere, nello scrivere, nel “far di conto” o nell'applicare un metodo allo studio).
Tenere conto di queste semplici premesse può aiutare gli adulti a considerare nella giusta dimensione i compiti e dargli il valore che hanno, come strumento anziché come fine. Altrimenti si rischia di forgiare dei bambini che agiscono meccanicamente, mortificando la propria intelligenza e il proprio spirito d'iniziativa, eseguendo degli “ordini” impartiti dagli adulti, senza capirne il senso. Oppure, al contrario, bambini oppositivi (spesso quelli più brillanti, più originali e meno passivi) che rimangono incastrati in una logica oppositiva, rifiutando le imposizioni adulte perché non ne comprendono il senso e le percepiscono come troppo frustranti ed esagerate.
La capacità di usare i compiti come strumenti, dosandoli (nei tempi e nei modi), spetta anzitutto all'insegnante. E' lui che conosce il programma, i bambini della sua classe e il proprio stile di insegnamento. L'insegnante può così decidere dell'uso dei compiti, tenendo anche conto dell'età dei bambini , a partire da quelli che considero dei principi base ai quali ispirarsi:
i bambini devono anzitutto capire il senso che hanno i compiti per la loro vita quotidiana scolastica. L'insegnante dovrebbe condividerlo con i bambini, motivando le sue richieste. Questo ovviamente chiede all'insegnante di essere profondamente consapevole delle proprie scelte. Un insegnante DEVE sempre essere in grado di motivarle;
non si possono dare più compiti di quelli che l'insegnante può correggere nei giusti tempi (senza caricarsi di stress) e con la giusta cura (senza fretta, superficialità o “meccanicità”);
non si possono dare più compiti di quelli che i bambini possono gestire in autonomia, senza necessità di un supporto genitoriale. I compiti sono un'occasione per accrescere la propria indipendenza, non un modo per creare stress ulteriore nel sistema familiare (già messo molto alla prova dallo stile di vita contemporaneo) e nemmeno dipendenza nei confronti della mamma o del papà, senza i quali non si riescono a svolgere (perché troppi, troppo difficili o nuovi rispetto a quanto svolto in classe). La presenza del genitore non dovrebbe mai essere necessaria al bambino per comprendere e svolgere i compiti, è semmai (nei primi anni delle elementari) solo un supporto affettivo, una presenza amorevole e motivante, uno stimolo per mantenere focalizzata l'attenzione su quello che si sta facendo;
i bambini, per crescere armonicamente, hanno bisogno di sviluppare corpo, cuore e testa insieme; capacità fisiche (equilibrio, forza, autocontrollo, scioltezza, consapevolezza corporea, espressività), capacità emotive (gestione delle emozioni cosiddette “negative”, come la rabbia, il dolore, la paura, la frustrazione; sviluppo di relazioni interpersonali significative; esperienza delle emozioni positive come la gioia, lo stupore, la curiosità, il desiderio, l'entusiasmo, ecc.) e capacità mentali (linguaggio, pensiero, ragionamento, memoria, intuizione, ecc.). Quando pensiamo alla giornata di un bambino, dovremmo considerare sempre l'equilibrio tra questi 3 aspetti costitutivi dell'essere umano. Il modo migliore per un bambino di mettere in gioco tutte queste competenze insieme e con equilibrio è il GIOCO LIBERO. Grandiose sono le potenzialità espressive e autocurative del gioco non strutturato e su queste ci si potrebbe dilungare a lungo. Se un bambino che passa la sua giornata a scuola, fino a metà pomeriggio (che d'inverno significa concretamente la quasi totalità delle ore di luce), è costretto a continuare a casa il suo “lavoro” - impegnando ancora e soprattuto la MENTE, anziché poter correre, giocare, inventare, stare vicino ai genitori, esprimersi liberamente – non potrà che vivere questa esperienza come stressante, eccessiva, sbagliata, negativa e ne avrà tutte le ragioni, quando i grandi lo capiranno. In tal caso ha più senso organizzarsi per avere il tempo di svolgere i compiti a scuola anziché a casa.
I bambini a scuola, a parte alcune competenze di base essenziali (quelle classiche: leggere, scrivere e far di conto), dovrebbero anzitutto imparare ad imparare, perché questo è ciò che la vita sulla terra richiede. Non persone ben addestrate che hanno in testa vecchie nozioni immutabili apprese a memoria e senza riflessione personale, bensì individui curiosi, interessati, attivi, flessibili, capaci di affrontare le novità, di ricercare informazioni attraverso molteplici canali, di comprendere quello che succede nella realtà quotidiana della propria famiglia e del proprio contesto sociale allargato, di usare strategie mentali, metodi e tecniche per apprendere cose nuove in base alle esigenze della loro vita.
Se tenessimo conto di questo daremmo meno importanza ad inseguire i contenuti e le tappe del programma e interpreteremmo più creativamente gli stessi focalizzando l'attenzione :
sul lavoro di sperimentazione di metodi di studio, di memorizzazione, di libera ricerca di informazioni attraverso la biblioteca, internet, il confronto orale con persone adulte del proprio contesto;
sul confronto tra pari in classe, e la collaborazione tra gruppi;
sull'usare la classe in modi diversi e creativi ridefinendone gli spazi a seconda del tipo di attività che si svolge;
sulle attività di ascolto e di lettura espressiva; sulle attività artistiche e motorie.
E ripenseremmo anche i compiti che, a seconda dell'età dei bambini, della sensibilità e della creatività dell'insegnante possono essere dati o non dati; dati ogni tanto; dati quando serve; dati in dose omeopatica; dati solo nel week-end; e anche ripensati: ad esempio, osservare attentamente come gli adulti usano le competenze che i bimbi stanno imparando (ad esempio leggere, scrivere o far di conto) è un bel compito e io credo che molti possano essere i compiti non scritti, ma solo osservativi, contemplativi. Allenerebbero il bambino a creare connessioni tra ciò che imparano e l'uso di questo nel “mondo adulto”, nella realtà che li circonda.
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